Il bla bla e la gloria degli ignoti

(Carmelo Fucarino)


Oggi, giorno dei morti, quelli della pupa di zucchero e dei doni lasciati nella scarpa, i nostri cari vecchi morti che non ci atterrivano con la macabra mascherata americana di Halloween, al Festival Internazionale di Roma si presenta il neo-cult “The social network”, la storia di quel geniaccio (si può esserlo come Lucifero) che ha creato quella rete di cicaleccio che fa Facebook, l’immenso stadio aperto alla chiacchiera per cinquecento (si dice) milioni di uomini in maschera. È la vicenda dell’allora diciannovenne Mark Zuckerberg e del suo amico Eduardo Saverin, fondatori del Facebook di venticinque miliardi di dollari (si dice). Altra montagna di dollari si prevedono per il film di David Fincher e per l’osannato Gessy Eisenberg, già promosso all’Oscar. Il network è una forma planetaria di esibizionismo, un subdolo e falso strumento di creazione di amicizia in una società del look, del face, del colloquio su tastiera anche sul nulla distillato. È quella esigenza di comunicare, il contatto perduto che si cerca di instaurare con una carezza virtuale. È l’elogio della solitudine dell’uomo odierno, recluso nella sua monumentale SUV (Sport Utility Vehicle) urbana, solo e rintronato dai vari aggeggi elettronici, gli auricolari, il portento di iPad e simili. Dichiara Eisenberg a proposito del suo personaggio che, nonostante la ricchezza, “è un uomo solo”. Ma non c’è una fine al peggio, se penso alla cattiveria spesso gratuita del video-sharing YouTube, la community di condivisione video, quando la forza dirompente dell’immagine è carpita per far male e distruggere sotto l’anonimato. Continua a leggere

GLOSSARIO DELA BIANCHERIA INTIMA

(Raffaello Piraino)

Combinazione – Unione di diversi capi di biancheria.: camicia-mutanda (1892), mutanda-sottogonna (1897, camicia-mutanda-sottogonna (1898). L’insieme camicia-mutanda costituì un capo essenziale dell’abbigliamento intimo femminile negli anni Venti dell’Ottocento; la sottoveste, invece, ovvero combinazione di camicia e sottogonna, fu adottata negli anni Trenta e sarà di rigore indossata fino agli anni Quaranta.

Commode – Comodo abito da mattina del secolo XVIII. Continua a leggere

Un anno che “serve”

(Mimmo Caruso)


Una serata come tante altre, mangiando una pizza tra amici.
Un banale pourparler.
Così è nato Vesprino Magazine: un’idea che ha da poco compiuto il primo anno di vita editoriale.
Le pagine di Vesprino, dirette con entusiasmo da Gabriella Maggio, hanno raccolto tantissimi contributi di soci ed amici, accomunati dalla voglia di scrivere, servire e condividere.
Vesprino racconta la vita di un club, così come se fosse il suo diario.
Vesprino racconta la sua città: gli eventi culturali che la rendono viva, ma anche il degrado e l’incuria, che la sviliscono.
Abbiamo avuto modo di riflettere, confrontarci ed ispirare.
I “service online” hanno affrontato tantissimi temi: l’immigrazione, la prevenzione medica, la divulgazione scientifica, l’ambiente, la storia.
Soffiando sulla prima candelina esprimo un desiderio: “we serve”!

CONSIDERAZIONI SU “ I MENU LETTERARI DI MARINELLA”

(Gabriella Maggio)

Marinella ha proposto recentemente due menu tratti dal Gattopardo di G. Tomasi di Lampedusa, quello del pranzo a Donnafugata e quello del ballo a palazzo Ponteleone. Entrambi sono giocati sui sensi, la vista, l’olfatto, il tatto, manca il gusto. Anche la “nespola” che pure “era stata appena ingoiata” all’inizio del romanzo non ha un aggettivo che ne indichi il sapore. La descrizione delle pietanze è simile alla descrizione dei luoghi, “era un giardino per ciechi” , “ Sotto il lievito del forte sole ogni cosa sembrava priva di peso, il mare in fondo era una macchia di puro colore“, “sulla cima del Monte Morco tutto era nitido adesso, la luce era grande”. Unica eccezione “ la gelatina al rhum” , dolce preferito dal Principe, che anche se “ si presentava come un torrione…” è descritta “dal gusto delicato “. Continua a leggere

Omaggio a Giorgione (nel quinto centenario della morte).

(Tommaso Aiello)

(parte prima)

Chissà che cosa avrebbe potuto ancora realizzare,di meraviglioso,Zorzi o Zorzòn da Castelfranco veneto,meglio conosciuto in tutto il mondo come Giorgione(Giorgio Barbarelli),se la terribile peste del 1510 non l’avesse consumato e condotto alla morte,a Venezia,all’età di poco più di trent’anni.
Forse avremmo potuto ammirare altri capolavori universali come quelli che il suo genio ha saputo creare e,inoltre,oggi ne sapremmo di più della vita,delle origini,della sua idea dell’arte in generale e della pittura in particolare.Quando morì,vittima di una delle temutissime epidemie che con frequenza e senza pietà colpivano in ogni parte dell’Europa, era il periodo d’oro della Serenissima,
che di lì a qualche anno avrebbe raggiunto la sua massima espansione.Ma se la biografia di questo grande pittore è rimasta avvolta in un alone di mistero,non altrettanto può dirsi della sua opera,
considerata realmente rivoluzionaria e geniale,capace di segnare una svolta epocale nella pittura,e di influenzare schiere di artisti venuti dopo di lui,con la potenza lirica della sua espressione artistica,il modo di usare il colore e il nuovo equilibrio instaurato tra uomo e natura.Il Giorgione è annoverato tra i massimi protagonisti dell’arte italiana di ogni tempo,tra i pochi eccelsi che hanno lasciato un segno indelebile e imprescindibile per gli sviluppi della storia artistica dopo di lui.
A Venezia,all’inizio del XVI secolo,la nuova visione del mondo rivelata da Giovanni Bellini si afferma nell’opera pittorica di due artisti eccezionali:Giorgione da Castelfranco,appunto,e Tiziano Vecellio.Mentre ancora nelle botteghe della Laguna,nelle regioni marchigiane o lombarde dominate dalla Serenissima,continuavano a essere prodotte opere ispirate allo stile padovano,Giambellino e Antonello,con i loro seguaci,avevano aperto una nuova finestra sul mondo:le figurazioni tardogotiche e quelle rinascimentali,ispirate all’antico,cedevano il posto a immagini pervase di un terreno e umanissimo sentimento patetico e la natura si faceva spettacolo di colori luminosi.Il misterioso Giorgione si forma su questa nobile tradizione,avvicinandosi anche ai modi finemente descrittivi del Carpaccio e alla composta classicità di Lorenzo Costa:ma è difficile stabilire notizie precise su di lui;i contorni storici della sua figura sembrano evanescenti come i contorni delle sue figure dipinte,immerse tra le soffuse penombre dei paesaggi vagamente tratteggiati fino all’estremo limite dell’orizzonte.Al raggiungimento di questa particolare palpitazione di atmosfera,che priva la forma di ogni materiale consistenza,non è estranea l’influenza di Leonardo,ma Giorgione va ben oltre e per la prima volta dipinge quadri<>, come la cosiddetta Tempesta,o i Tre filosofi,
nei quali la stessa difficoltà di indicare cosa il soggetto rappresenti è un chiaro indice di come il pittore si preoccupi meno del tema sacro e profano che del tema naturale.vero protagonista nella sua infinita varietà di suggestioni nate dal colore e dalla fantasia.

Giorgione – La tempesta.(cm.82×73)

Venezia,Gallerie dell’Accademia.

Le solitarie figure penetrano nell’atmosfera serale fino a perdersi in essa; tutto, uomo e paesaggio,vibra di un’intensa e trepidante emozione; un fascino sottile, un incantesimo che sembra nascere ai confini fra realtà e sogno, pervade la composizione:il colore corrode la forma per distendersi in tutta la ricchezza delle sue infinite variazioni e diventa la sostanza stessa del dipinto. E tra gli intrecci della vegetazione e le incrostazioni delle rocce vischiose sembra di trovare la presenza di mostruose figurazioni, subito smarrite tra inquiete penombre.
L’interpretazione del soggetto è senz’altro legata ai dotti amici del committente, il nobile veneziano Gabriele Vendramin, e le ipotesi degli storici dell’arte si sprecano: raffigura Paride, Adamo ed Eva dopo la cacciata dal paradiso terrestre, una scena mitologica ispirata ad Ovidio. Non importa. L’elaborato significato allegorico non è fondamentale, quello che conta sono invece gli elementi innovativi.come la rappresentazione della scena dove il vero protagonista del quadro è il paesaggio in cui l’uomo e la donna col bambino sono inseriti in modo armonioso nel paesaggio, di cui fanno parte, ma non con un ruolo predominante, anzi sono spostati a lato. Altro elemento innovativo è il fulmine che squarcia il cielo ed illumina con il suo chiarore le case circostanti e diventa il punto di attenzione principale. Altro elemento innovativo è infine rappresentato dalla pittura tonale. Fino a quel momento era il disegno che modellava le figure,che delineava i volumi,che marcava gli spazi, con Giorgione questo ruolo viene assunto dal colore. Allo stesso tempo il colore unifica l’opera con un tono generale,non ci sono più forme delineate racchiuse dal disegno,ma tutto si fonde in modo armonioso e dolce.

La finestra sull’immigrazione

(Vera Ferrandi)


BURQA

7 Ottobre 2010
Parere favorevole per il divieto del burqa in Italia
Evitare però ogni riferimento alla religione islamica

Il Governo ha fornito alla Commissione Affari costituzionali della Camera il parere sul divieto dell’uso del burqa e del niqab in Italia. E’ possibile un’introduzione di questo divieto purché non ci sia alcun riferimento alla religione islamica, così come già suggerito dal Comitato per l’Islam italiano istituito presso il Viminale. Il sottosegretario del Ministero dell’Interno, Alfredo Mantovano, ha spiegato che “il burqa non ha un’origine coranica. Indumenti simili sono stati usati in diverse zone in epoca romana, bizantina, persiana. Portarli non é dunque un obbligo religioso”.
Al Governo sta soprattutto a cuore il fatto che chi è coperto in modo da non essere riconoscibile né identificabile dalle forze dell’ordine limita la portata dei provvedimenti nei confronti del terrorismo.
L’indicazione data è dunque quella di appoggiare queste nuove proposte di legge sul divieto del burqa e niqab, senza però menzionare la religione islamica, raccomandando quindi di “omettere dai testi di legge ogni riferimento alla religione o all’islam, limitandosi alla formulazione secondo cui nel divieto devono intendersi ricompresi ‘gli indumenti denominati burqa e niqab’, prescindendo dalle motivazioni che spingono le persone ad indossarli”.

NIQAB

I MENU LETTERARI DI MARINELLA

(Marinella)

Davide uccide Golia. Caravaggio 1610-Galleria  Borghese-Roma

Nel secondo libro di Samuele si legge che quando David salì al trono, organizzò intorno all’arca dell’alleanza e di fronte alle nuove mura di Gerusalemme un gran festino con distribuzione di cibo: ciambelline, focaccine di fior di farina  con l’uva passa, spiedini di carne ben arrostita  e vino, considerato più un alimento che una bevanda.


Es un soplo la vida

Da Fantasmi a Buenos Aires
di Rosa Maria Ponte
(terza parte)

Gardel

Daniele si accorse che non stava provando quella sensazione che aveva temuto. Gli sembrava che quei corpi, che emanavano un leggero odore di muffa, non fossero mai appartenuti ad esseri umani vivi tanto somigliavano a vecchi manichini di cartapesta molto sciupata e in certi punti così screpolata e sbrindellata da mettere a nudo le ossa. Il monaco parlava di antichi colatoi e di metodi di imbalsamazione più moderni con arsenico o paraffina, mentre lui pensava che non avrebbe mai permesso che sua madre facesse mostra di sé, vestita come quando andava a fare una visita, distesa in un loculo o peggio, appesa a una parete. Meglio che stesse nella loro tomba di famiglia a riparo da occhi indiscreti.
– Questa è la zona dedicata ai medici, disse il monaco. Continua a leggere

Es un soplo la vida

Da Fantasmi a Buenos Aires
di Rosa Maria Ponte
(seconda parte)

 

Invece all’ingresso delle catacombe dei Cappuccini, a Palermo, c’era scritto proprio così: “Vietato fumare”. Quella mattina si era deciso a visitarle, sembrava che lui fosse rimasto l’unico palermitano a non averlo mai fatto. C’era anche scritto: “Ingresso gratuito”, ma il monaco, un vecchietto di bassissima statura, che faceva da guida, prima di iniziare a scendere le scale del sotterraneo, tese eloquentemente il palmo della mano. Daniele vi mise qualcosa e lui accelerò il passo e insieme scesero le scale che portavano giù nelle catacombe.
Scendendo quei gradini di pietra consunta Daniele si chiedeva se avesse fatto bene ad andare lì. Non sarebbe stato meglio rimanere uno dei pochissimi concittadini a non aver mai visitato quel posto? Se lo era sempre immaginato come un luogo raccapricciante e ora, vedendolo nella realtà, le sue lugubri presenze lo avrebbero sicuramente perseguitato nelle notti insonni. Perciò non aveva mai avuto il coraggio di andarci. Arrivarono finalmente all’ingresso di quel grande cimitero sotterraneo. Il monaco tastò la parete a destra e accese le luci: grandi stanzoni dai soffitti a volta si susseguivano per poi girare a destra e a sinistra verso altri locali sicuramente altrettanto grandi : un intricato labirinto che poteva essere visitato soltanto con una guida. Le lampadine, in alto, male illuminavano gli ambienti tanto che da principio Daniele non si accorse che le pareti erano interamente tappezzate di corpi umani imbalsamati, sia appesi che sdraiati in loculi, interamente vestiti con gli abiti che si usavano nel tempo in cui erano vissuti, con calze e scarpe e gli uomini, talvolta, anche col cappello o la papalina. Il monaco spiegava che quei corpi erano raggruppati secondo i mestieri o le professioni che avevano svolto da vivi: c’era la zona riservata ai frati, alle suore, quella dove avresti visto solo medici, quella degli avvocati, la parte riservata alle donne sposate, alle vergini con palma e corona , ai neonati in abiti da battesimo. Era una folla immensa che lo fissava con orbite vuote. Non tutte vuote, comunque. Alcune mummie sembravano aver conservato gli occhi o forse l’imbalsamatore, per voler rendere più realistico l’insieme, aveva inserito al loro posto delle protesi di vetro.

BATTISTA TRIGONOMETRICO

BATTISTA TRIGONOMETRICO, La ricchezza del cuore, San Lucido, Edizioni Albatramonto, 1970

DA “ LA DONNA CHE PARLAVA AI LIBRI”
di Dante Maffìa

Affacciata alla finestra della sua stanza la giovane poetessa, l’erede naturale di Emily, guardava pensosa davanti a sé e si chiedeva se anche gli alberi, il paesaggio, il vento hanno un cuore. Lei il suo lo sentiva battere forte ogni volta che si emozionava, ma alla scuola di scrittura creativa le avevano detto di non dargli ascolto assolutamente, perché i grandi errori della Storia sono nati tutti da quei battiti incontrollati, dalle accensioni di quel muscolo capriccioso e bizzarro. Ma davvero poi la Storia faceva errori? O erano stati sempre gli uomini ad attribuirglieli? Forse però non era il caso di mettersi a pensare tante cose; per scrivere poesie, le avevano insegnato, bastava copiare pedissequamente la realtà. Pedissequamente. Punto e basta. Come quando si scatta una fotografia, dipende soltanto dalla molta o poca luce che ravviva l’immagine. Il resto non c’è, non conta, la poesia è un riflesso di ciò che accade ogni giorno, punto e basta.
A lei però sembrava diversamente nonostante gli insegnamenti e il lavaggio del cervello del docente, che tra l’altro veniva considerato uno scrittore di fama, quel Bar Ricco che sembrava il nuovo Manzoni per come sapeva sciacquare i panni nel Po inquinato. Continua a leggere